L’idea di condensare in un’unica via una serie di complessi ecclesiastici e di prospetti di chiese, determinando una sorta di “agorà” religiosa, situata peraltro in un luogo non molto distante dal grandioso complesso benedettino che dominava la città, venne perseguita a Catania, così come a Noto, a partire dalle esperienze avviate a Palermo pochi anni prima. Qui, tra 1686 e la fine del secolo, l’architetto Giacomo Amato era riuscito a definire una strada “romana” con grandiosi fronti ispirati all’architettura dell’Urbe. Questa parata scenografica era apparsa convincente e degna di una capitale; non è un caso che nel 1696 si trovasse a Catania, coinvolto in vari progetti, l’architetto Angelo Italia che era Palermo a stato testimone diretto di quella eccezionale impresa.
Una strada per i complessi religiosi
Il progetto di via Crociferi condensa le intenzioni del clero, ma anche una certa dose di casualità. Sappiamo che, per alcuni anni i Gesuiti avevano accarezzato l’idea di collocare la loro sede in un altro isolato, per poi partecipare e promuovere attivamente la definizione monumentale della strada.
La chiesa dei Gesuiti
La ricostruzione del complesso gesuitico seguì a un lungo periodo di incertezza sul sito da scegliere. Dopo il tentativo fallito di spostare il collegio e la chiesa in un luogo più centrale, i Gesuiti si risolsero di ricostruirli nelle proprietà distrutte e comunque in una situazione oramai modificata dall’apertura di nuove strade e dalla contemporanea edificazione del limitrofo convento di San Benedetto. Una testimonianza più tarda indica nel fratello Angelo Italia il progettista dei prospetti, mentre per l’interno della chiesa ci si affidò deliberatamente al disegno della prima metà del Seicento, dovuto al gesuita Tommaso Blandino.
La chiesa dei Gesuiti
La scelta di Angelo Italia di usare nella facciata un imponente telaio di colonne libere dal muro retrostante era una oggettiva novità per Catania. Alcuni maestri come gli Amato ripresero il tema qualche anno dopo a Caltagirone nel prospetto della chiesa di San Francesco.
Una parata di prospetti barocchi
Chi percorre la via dei Crociferi, partendo da piazza San Francesco, vede svolgersi una sequenza di monumentali prospetti chiesastici, connotati da vibranti aggetti di semicolonne e cornicioni (come nelle chiese di San Francesco e San Benedetto), da imponenti colonne binate (come nel caso della chiesa di San Francesco Borgia dei Padri Gesuiti), da soluzioni convesse (chiesa di San Giuliano) o concave (chiesa dei Crociferi). Il risultato è quello di un’ ampia casistica delle possibili alternative che l’architettura tardobarocca del Settecento offriva.
Una parata di prospetti barocchi
L’accentuazione teatrale e prospettica, non sappiamo quanto voluta o quanto frutto casuale di scelte che si sono sommate nel tempo, viene accentuata, poi, dal cono visivo, determinato dall’arco di ingresso alla strada.
Linguaggi e artefici
Così come in molti altri casi, anche per i monumenti di via dei Crociferi la documentazione non offre certezze definitive sugli autori dei progetti e tantomeno - in assenza di disegni originali - sulla fedeltà di esecuzione degli stessi. In alcuni casi le testimonianze sono contraddittorie, in altre le competenze tra progettisti e capomastri appaltatori dei lavori si intrecciano. Persino negli episodi dove tutto sembra più immediato, come il documentato progetto di Giuseppe Palazzotto per la chiesa di San Giuliano, può nascere il fondato dubbio di suggerimenti e di interferenze attuate da Giovan Battista Vaccarini, l’architetto del Senato cittadino a cui il vescovo aveva anche affidato un compito ufficiale di supervisione dei disegni per i monasteri femminili.
Linguaggi e artefici
La facciata di San Giuliano, la sua pianta complessa, e la sua cupola loggiata riecheggiano temi moderni, la cui provenienza da Roma e da Palermo sembra assodata, ma è anche vero che intorno all’architetto Vaccarini (nato a Palermo e con una formazione romana) ruotano un’ampia rete di personalità artistiche meno conosciute.
Un’architettura policroma
I monumenti di Catania, sia quelli di via Crociferi che altri, come il prospetto della cattedrale evidenziano un gusto cromatico particolare, distante da quello dei centri del sud est dove il rivestimento in pietra dominava la costruzione. La “pietra negra” (o l’intonaco scuro a base di pietra lavica) e la pietra bianca di Siracusa (sovente adottata per cantonali, aperture e cornici) delineano l’immagine complessiva della città, ma non mancava l’uso di altri materiali e di marmi che arricchiscono la tavolozza. Così le colonne per la chiesa e per il primo registro del chiostro dei Gesuiti, commissionate nel 1717, sono in rosato di Trapani, mentre il diverso trattamento attuato per le superfici e le lucidature completavano la resa finale.
Un’architettura policroma
Le superfici materiche delle architetture di via Crociferi confermano la sopravvivenza del gusto che parte dall’accostamento di cromie diverse. Le architetture normanne e poi la venerata cappella di Sant’Agata nella cattedrale deve avere determinato la lunga sopravvivenza di questi parametri estetici.