Ragusa
Brani letterari
Bisogna essere intelligenti per venire a Ibla. E convengo ch’è una discriminazione maleducata, non so quanto abbia da guadagnare il turismo locale. Fatto sta che ci vuole una certa qualità d’anima, il gusto per i tufi silenziosi e ardenti, i vicoli ciechi, le giravolte inutili, le persiane sigillate su uno sguardo nero che spia; ma anche si pretende la passione per le macchinazioni architettoniche, dove la foga delle forme in volo nasconde fino all’ultimo il colpo di scena della prospettiva bugiarda. Ibla è città che recita con due voci, insomma. Talvolta da un podio eloquente, più spesso a fior di labbra, in sordina, come conviene a una terra che indossa il suo barocco col ritegno d’una dama antica.
Qui la sua rivincita nei confronti della Ragusa maggiore: in questo intreccio di clausura e di agio, in quest’aria di abbandono e di delicato sussiego, che si sente alitare negli androni delle case signorili non meno che lungo i muri dei pianterreni poveri, e immalinconire le maschere delle cariatidi sotto le mensole dei balconi. Così imbalsamata e bendata, Ibla resiste intatta, come risorse dopo il sisma del 1693 (si vorrebbe cinicamente dirlo provvidenziale), quando ogni paese del Val di Noto, nel calcagno estremo dell’isola, vuole nuove e più grandi, se non grandiose, le cattedrali distrutte.
[…] Bisogna essere intelligenti per venire a Ibla, e voi ci siete già stati.”
(Gesualdo Bufalino, La luce e il lutto)
Duomo di San Giorgio
“A Ibla, il trofeo di pietra è san Giorgio. Carnoso nell’aggettante corpo centrale, s’impenna nondimeno verso la torre campanaria con un forte colpo di reni, svettando su un piedistallo di scale splendidamente sbieche rispetto all’asse della strada.
Non è la sola bellezza che vi consiglio: aggiungeteci San Giuseppe, il portale di San Giorgio vecchio, i palazzi Di Quattro e Arezzo, i Giardini Iblei. Ma soprattutto perdetevi a zonzo per i chiassuoli e gli affettuosi labirinti della città vecchia. La potrete raggiungere da Ragusa in dieci minuti d’auto, se siete podagrosi o pigri. Altrimenti non rinunziate alle vedute di fulmineo teatro che ogni svolta dei duecento e passa gradini regala al pedone paziente.”
(Gesualdo Bufalino, La luce e il lutto)
“Il tribuno Giorgio, Cappadoce di stirpe, giunse una volta nella provincia di Libia, nella citta di Silena. Presso quella citta vi era un lago vasto come il mare, nel quale si nascondeva un terribile drago: questo piu volte aveva messo in fuga il popolo che lo aveva affrontato in armi e spesso avvicinandosi alle mura della città appestava tutti con il suo fiato. Perciò, per placare il suo furore, ogni giorno i cittadini erano costretti a offrirgli due 1pecore: altrimenti il drago faceva irruzione in citta e ammorbava l'aria, dando la morte a molti. Quando erano ormai a corto di pecore – non era loro possibile averne in abbondanza - presero la decisione di offrire una sola peco ra e di aggiungervi un essere umano. Venivano estratti a sorte i figli e le figlie di tutti, senza alcuna eccezione; e ormai non v' erano quasi piu figli e figlie in tutta la citta, quando l'unica figlia del re venne estratta a sorte per esser consegnata al drago. I1 re, disperato, disse: ≪Prendete il mio oro e il mio argento, anche la meta del mio regno, ma lasciatemi mia figlia e non fatela morire cosi≫ . I1 popolo gli rispose infuriato:
≪Tu stesso, o re, hai emanato questo decreto: ora tutti i figli sono morti e tu vuoi salvare tua figlia? Se non farai fare a tua figlia la fine che hai decretato per gli altri, daremo alle fiamme te e la tua reggia≫. Al che il re iniziò a piangere sua figlia, dicendo2 Ahimè, figlia mia dolcissima, che cosa farò di te? » Disse allora ai suoi sudditi: Vi prego, concedetemi una proroga di otto giorni per piangere mia figlia». I sudditi acconsentirono; ma alla fine degli otto giorni si ripresentarono in preda al furore, e dissero: ≪Perché mandi alla morte il tuo popolo per salvare tua figlia? Il soffio del drago ci sta uccidendo tutti.
Allora il re, vedendo che non poteva salvare la figlia, la rivestì di vesti regali, la abbracciò e le disse fra le lacrime: ≪Ahimè, figlia mia dolcissima: speravo da te che degli eredi sarebbero cresciuti in un grembo regale, e ora invece stai per essere divorata da un drago! […] ≪Figlia mia, oh se fossi morto prima di perderti in questo modo!≫. Allora lei si gettò ai piedi del padre, chiedendo la sua benedizione, e dopo che suo padre la ebbe benedetta tra le lacrime si avviò verso il lago.
San Giorgio, che passava di lì, la vide piangere e le chiese cosa le fosse successo. E lei: ≪Buon giovane, sali, svelto sul tuo cavallo e fuggi, per non morire assieme a me ». Le rispose Giorgio: ≪Non temere, fanciulla, dimmi piuttosto che cosa stai ad aspettare qui, sotto gli occhi di tutto il popolo≫. E lei: ≪Bravo giovane, vedo che hai un cuore generoso, ma perché vuoi morire
assieme a me? Svelto, scappa!≫. Ma Giorgio. ≪Non me ne andrò finché non mi dirai
che cosa ti succede≫. Allora la ragazza spiegò a Giorgio tutta la situazione; e lui: ≪Fanciulla; non avere paura: nel nome di Cristo, ti salverò≫. ≪Bravo cavaliere, non perire con- me! È già sufficiente che lo muoia da sola: non potresti mal salvarmi e moriresti con me ≫. Mentre parlavano così, ecco che il drago levò la testa dalle acque del lago e prese ad avvicinarsi. La fanciulla allora, in preda al terrore, grido: ≪Fuggi, buon signore! Svelto, fuggi!≫. Giorgio allora, salito a cavallo e presa la croce a sua difesa, valorosamente attaccò il drago che gli veniva contro; scagliò la lancia con forza raccomandandosi a Dio e inferse al drago una grave ferita riuscendo a farlo cadere a terra. Disse allora alla fanciulla.: 59« Ragazza mia, non avere paura e getta la tua cintura al collo del drago≫. Lei fece come gli aveva detto; ed ecco che il drago la seguiva, buono e mansueto come un cane. Lo condussero così in citta: e tutti i cittadini, a quella vista, fuggirono sui monti e in luoghi lontani` dicendo: ≪Ahinoi, moriremo tutti!≫.
San Giorgio fece loro un segno e disse: ≪Non temete: il Signore mi ha mandato a voi affinché vi liberassi dal flagello del drago. Abbiate fede soltanto in Cristo, fatevi battezzare tutti quanti, e io ucciderò il drago≫. Così il re e tutti i suoi sudditi si fecero battezzare. Allora san Giorgio, sguainata la spada, uccise il drago e ordino di seppellirlo fuori dalla città; e quattro coppie di buoi lo portarono fuori in una, vasta pianura. Furono battezzati in quel giorno ventimila uomini, senza contare le donne e i bambini; il re, in onore di santa Maria e di san Giorgio, fece costruire una chiesa di straordinaria grandezza, dal cui altare sgorga una sorgente viva che ha il potere di sanare tutti gli ammalati.”
(Iacopo da Varazze, Legenda aurea)
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00'53'', lettura del brano da "La luce e il lutto" di Gesualdo Bufalino
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