San Giorgio è il patrono delle cittadine di Modica e Ragusa sin dal Medioevo. Se la storia della nuova collegiata ragusana possiede una data certa di inizio, molto più problematico è stabilire le fasi di quella di Modica, continuamente ampliata e modificata sullo stesso luogo, non lontano dal Castello, a metà strada tra i quartieri più popolosi del centro e con le absidi rivolte a oriente. Subito dopo il terremoto del 1542 prese comunque avvio una campagna di ampliamenti e di ricostruzioni, a partire proprio dalla definizione dell’abside, ottenuta scavando la roccia. In questo luogo si pensò presto di collocare un grandioso retablo pittorico.
Il luogo e la sua lunga storia
Per la costruzione era stato necessario scavare e livellare un’ampia area di terreno scosceso, ma i percorsi che dalla parte bassa della città, risalivano verso l’altipiano (i quartieri che gravitano intorno alla chiesa di San Giovanni, oggi denominati come “Modica Alta” ), intercettavano la chiesa di San Giorgio, rendendola adeguatamente baricentrica.
La cona
Alla metà degli anni Sessanta del Cinquecento risale l’incarico al pittore Bernardino Niger di realizzare una grandiosa “cona” dipinta, da posizionare sul fondale della chiesa. E’ possibile che l’incarico fosse determinato anche per festeggiare il successo delle armate cristiane nell’assedio di Malta (1565), considerando che molti aristocratici modicani, come i Celestre, erano strettamente collegati ai Cavalieri di Malta. La realizzazione, contrassegnata da perizie non sempre positive, si prolungò sino al 1573. Niger, appartenente a una famiglia di pittori greci, sfruttava abilmente modelli incisi dei maestri della prima metà del secolo, mentre la struttura lignea, le decorazioni e le cromie appaiono più vicine ai retabli di area castigliana. Il ruolo del collaboratore prescelto da Niger, lo spagnolo Girolamo Gomes, in questo senso deve essere stato decisivo.
La cona
Per le sue dimensioni, la cona costituiva l’impegno pittorico più ampio e ambizioso della Contea. Il suo ricordo traspare anche nei versi dello stesso Gomes, poeta oltre che pittore, che ricordava ironicamente l’incidente del suo amico e collega: “in laudi di Binnardinu Lu Nigru/ Pitturi, che iendu à Modica a pinciri un/ San Giorgi ed’ un San Martinu, /cascau di la mula”.
La ricostruzione seicentesca
Nonostante i danni del terremoto, i successivi ripari e qualche integrazione settecentesca, l’interno della chiesa di San Giorgio è in buona parte quello della chiesa costruita a partire dal marzo 1643. Era stato deciso di ricostruire integralmente la chiesa (ma lasciando intatto il cappellone maggiore cinquecentesco) seguendo il progetto redatto dall’architetto francescano Fra’ Marcello da Palermo. La compresenza in città del viceré di Sicilia e conte di Modica deve essere stata decisiva, anche se i documenti segnalano, forse solo come pretesto, il rischio di cedimento di un pilastro e generiche consulte tra maestri ed architetti.
La ricostruzione seicentesca
La struttura a tre navate su colonne e con profonde cappelle intercomunicanti, elaborato dal francescano Fra’ Marcello, rispondeva a idee e soluzioni che stavano accompagnando il contemporaneo dibattito a Palermo, dove si stavano costruendo grandi strutture basilicali.
Il concorso per la facciata
La storia della lenta ricostruzione post terremoto ebbe un’ improvvisa accelerazione nell’autunno del 1761 allorché venne richiesti disegni a differenti architetti per la facciata. Vincitore di questa competizione fu Paolo Labisi di Noto. Tuttavia, quasi immediatamente dopo l’esito, si produsse un lungo contenzioso che fece emergere numerose criticità del progetto, come i suoi caratteri distanti dalle pratiche locali. Osservazioni che, come estreme conseguenze, comportarono l’esclusione dell’architetto dalla direzione dei lavori. Si ritiene comunque che, con alcune variazioni, il risultato finale sia in buona parte dipendente dal disegno del 1761.
Il concorso per la facciata
Gli straordinari portali rococò, non sappiamo quanto relazionate al disegno di Labisi, furono l’esito delle ottime capacità scultoree di Pietro Cultraro, esponente, residente a Scicli, di una delle famiglie di artigiani-artisti che dominava l’ambiente locale.
Un cantiere secolare
L’immagine della grande facciata torre si è imposta sino a diventare un elemento caratterizzante il paesaggio e l’ambiente, una sorta di icona del barocco nella Sicilia orientale. Tuttavia a lungo il prospetto rimase incompiuto e fermo al secondo registro, così che la sua definizione va ben oltre i tempi del barocco. Infatti solo nel 1841 si riuscì ad appaltare a un’impresa di Ragusa, composta ancora dai Cultraro e da soci, tutti discendenti da famiglie di costruttori, il compito di completare la fabbrica sino al bulbo conclusivo.
Un cantiere secolare
Le parti conclusive del prospetto sono dovute quindi al disegno di un’impresa costruttiva di Ragusa, ma il completamento si articola in continuità, nel rispetto di quanto già realizzato in precedenza ed evitando scarti stridenti.