La chiesa di Santa Maria di Betlem è collocata nel fondo valle, con il lato lungo parallelo al percorso del torrente, mentre sul prospetto principale si apre una piazzetta di forma approssimativamente triangolare. Il nome è legato a una immagine sacra della Natività, un’edicola con bassorilievo del primo Cinquecento, posta sul lato occidentale. La struttura è stata integralmente realizzata per conto dell’omonima confraternita nel corso del secondo XVI secolo, forse prendendo a pretesto i danni del terremoto del dicembre 1542, e comunque demolendo antiche costruzioni e accorpando preesistenze.
A fianco del torrente
Il breve sagrato davanti la chiesa, in una centro dove è sempre stato problematico realizzare piazze, ha costituito per secoli uno dei nodi principali della città, caratterizzata da una manifesta policentricità, che fa capo soprattutto alle parrocchiali.
La cappella dei Confrati
La cappella dei Confrati (nota anche come del Sacramento o Cabrera) costituiva una struttura autonoma, successivamente inglobata nella nuova chiesa. La fabbrica che aveva una funzione sepolcrale venne realizzata in una data prossima al quarto o quinto decennio del XVI secolo. Si tratta di uno degli episodi più significativi del “rinascimento in pietra” degli Iblei, dove l’ingranaggio geometrico - il cubo di base, l’ottagono del tamburo, il cerchio della calotta, l’esagono del lanternino - si sposa con una raffinata decorazione di profili di imperatori romani o di maschere grottesche.
La cappella dei Confrati
Probabilmente la cappella è la prima di una serie di opere simili del Val Di Noto, tutte realizzate intorno alla metà del secolo e simili soprattutto nel trattamento dei raccordi angolari. Si tratta degli esiti superstiti di un rinascimento che è stato pressoché cancellato dai terremoti.
Un’architettura ibrida
Il portale di ingresso alla cappella presenta uno dei casi più interessanti di commistione linguistica attuata nella Sicilia del Cinquecento. L’integrazione di decorazioni rinascimentali e di ridondanti soluzioni gotiche forse non era un fenomeno isolato ma rientrava nella cultura sperimentale della Sicilia orientale. A giudicare dalle testimonianze e descrizioni, qualcosa di speculare e analogo doveva possedere la celebrata e perduta cappella di San Corrado a Noto. L’interscambio di maestranze netine e modicane a queste date era consueto, come del resto mostra la vicenda del prospetto.
Un’architettura ibrida
I dettagli del grande portale rivelano l’accumulazione di temi e di repertori desunti da incisioni, alcune delle quali perfettamente identificabili. Possediamo i nomi di alcuni importanti artefici del tempo, attivi a Modica, ma non esistono prove sicure della loro partecipazione alla costruzione.
La chiesa su colonne
La chiesa di Santa Maria di Betlem presenta un impianto basilicale su colonne, non molto diverso da quello che si andava realizzando contemporaneamente nella chiesa di San Pietro. La costruzione venne probabilmente diretta dal maestro Mauro Galfo -che almeno inizialmente doveva guidare entrambi i cantieri- e proseguì sino agli anni Novanta, man mano che le risorse necessarie per la costruzione si rendevano disponibili, si acquisivano i lotti, si procedeva alle demolizioni e alle fabbriche. A differenza della chiesa coeva e in qualche modo gemella, a Santa Maria di Betlem le coperture sono rimaste “leggere”, probabilmente la prova di una fase settecentesca meno intensa e ricca di quella delle altre parrocchie cittadine.
La chiesa su colonne
A discapito dell’uniformità, e come in molte altre chiese del tempo, una certa libertà nell’esecuzione dei capitelli dei capitelli era considerata un valore aggiunto. I tempi lenti della costruzione agevolavano un progresso della fabbrica che, a partire da uno schema generale condiviso, permetteva la variazione dei dettagli.
Un manto di filari di pietra: il prospetto
Il prospetto della chiesa è composto da due registri di epoca diversa, ma che riescono a integrarsi grazie alla cromaticità della pietra a vista. Il secondo ordine è stato realizzato nel primo XIX secolo, ma la parte basamentale venne costruita a partire dal 1572, allorché il maestro Coraldo de Rubino da Noto venne compensato per il suo disegno. L’asciutta superficie senza risalti e occupata solo dai portali sembra quanto mai distante dalle forme che si sarebbero imposte già nel secolo successivo, ma è indicativa di un’epoca e di una sensibilità religiosa che tendeva a contenere o escludere la decorazione.
Un manto di filari di pietra: il prospetto
I portali disegnati da Coraldo nel 1572 possiedono qualcosa di arcaico, ma si tratta di scelte che forse non vanno interpretate come ritardatarie. E’ possibile che il maestro stesse traducendo in pietra i portali di marmo della chiesa madre di Noto, più probabilmente stava prendendo ispirazione dal trattato spagnolo Medidas del Romano di Diego de Sagredo.