Il Circolo di Conversazione, è uno dei luoghi simbolo della cultura della nobiltà iblea. Un esclusivo ed elitario luogo di ritrovo per una società di provincia che aspirava a partecipare al più generale progresso politico e sociale della regione e poi del nuovo stato nazionale. Nel prospetto trovano posto decori e ed elementi scolpiti che riflettono un gusto eclettico: paraste doriche scanalate, triglifi, sculture clipeate, sfingi alate a rilievo, una fascia continua ad onda. Il partito centrale, dominato dalla scultura allegorica della giustizia, è sovrastato dallo stemma della città affiancato da due leoni scolpiti a tutto tondo.
Il circolo di Conversazione
L’interno del Circolo è organizzato come un raffinato salotto neoclassico: possiede tendaggi, arredi e decori originali e ospita fumoir, sale dedicate al gioco e alla lettura, un grande salone per le feste da ballo e un giardino.
Il caffè dei Cavalieri
Il nome originario dell’edificio, caffè dei Cavalieri, mostra in definitiva la sua stretta aderenza a modalità di comportamento in auge in molte città europee tra gli ultimi decenni del XVIII secolo e la prima metà dell’Ottocento. La moda del “caffè” parigino aveva sostituito altre modalità di aggregazione dei circoli nobiliari e intellettuali. Si trattava di una forma necessaria ai fini di accentuare la distinzione e la separazione di chi per ceto, cultura, letture, mostrava nuove passioni, per esempio quelle legate al melodramma e al teatro, o si avvicinava alla massoneria.
Il caffè dei Cavalieri
La distinzione per grado sociale rifletteva uno schema che si è perpetuato nei decenni, dando vita a luoghi associativi per il tempo libero di gruppi sociali di differente livello. Nel caso di Ragusa Ibla, l’architettura e i simboli furono messi al servizio di una eloquente rappresentazione distintiva.
Il palazzo Arezzo di Donnafugata
Limitrofo al Circolo di Conversazione è il palazzo degli Arezzo di Donnafugata, quasi certamente la famiglia promotrice la costruzione del Caffè. La dimora un edificio straordinario, che risulta realizzato a partire dal 1798. L’edificio, ispirandosi al celebre palazzo Biscari di Catania, contiene un piccolo teatro la cui fruizione non era certamente solo familiare. La musica e le recite d’’autore costituivano in realtà un ulteriore strumento di aggregazione per una società di provincia che intendeva relazionarsi e partecipare alle mode europee del tempo.
Il palazzo Arezzo di Donnafugata
Nel palazzo venne ospitato l’economista Paolo Balsamo (maggio-giugno 1808) che lo descrisse in termini entusiastici: “L'atrio, la scala , il salone sono ivi veramente nobili ; il teatrino , le camere , e certi stanzini sono ben disposti , e sopra modo gentileschi”.
Il palazzo Arezzo di Donnafugata 2
Sia il prospetto, che il teatro che l’ampio atrio vitruviano (forse rimaneggiato e reso policromo nel secondo Ottocento), simile a quello di palazzo Farnese a Roma, parlano un’altra lingua, affondano le loro radici nel complesso sistema di rinnovamento che sta alla base del neoclassicismo: una partecipazione al progresso e alla magnificenza civica; una maggiore asciuttezza e semplicità di forme e un ritorno al classicismo e alle sue regole universali. Le date precoci fanno propendere per un progetto redatto da architetti di area catanese come Antonino Battaglia.
Il palazzo Arezzo di Donnafugata 2
Benché rimaneggiato nel secondo XIX secolo dal nuovo proprietario, Corrado Arezzo de Spuches, l’edificio rivela la sua appartenenza a una fase precedente. Probabilmente in questo cantiere fece apprendistato anche il giovane Sebastiano Ittar, nipote di Antonino Battaglia e più tardi progettista della cupola del duomo di San Giorgio.
Il teatro della Concordia
Se grazie agli Arezzo di Donnafugata il quartiere di Ibla si dotava di alcuni apparati rappresentativi di nuova concezione, anche a Ragusa Alta si predispose la costruzione di un teatro comunale. In questo caso gruppi di cittadini facoltosi, a partire dal 1839, finanziarono l’opera con l’intento di dotare la città di uno dei simboli più eloquenti della modernità. “Concordia”, il nome con cui venne battezzato il teatro, rifletteva l’esigenza di una pacificazione civica dopo la devastante epidemia di colera del 1837 e i successivi violenti tumulti.
Il teatro della Concordia
Il contesto storico rivela le aspettative del tempo: se la Chiesa continuava a mantenere un saldo controllo delle coscienze e della devozione pubblica, nuove istituzioni laiche ne stavano lentamente sostituendo il primato simbolico e il ruolo identitario.