A dispetto della pressoché totale assenza di documentazione e dell’esiguità dei resti superstiti, nell’area del ragusano e, più in generale, della Contea si dovette manifestare una significativa architettura tardogotica. Le cappelle che si ritrovano nella chiesa di Santa Maria delle Scale indicano la presenza di maestri che portano un linguaggio nuovo, collegato alle coeve esperienze di area catalana, e caratterizzate da una rigogliosa e raffinata decorazione scultorea. Questi apporti decorativi sembrano in realtà costituire un legame diretto con il gusto impresso dalle maestranze locali nel dopo terremoto.
Le cappelle di Santa Maria delle Scale
Nelle raffigurazioni mostruose e grottesche presenti nelle cappelle è facile ritrovare possibili parallelismi con le iconografie in uso nel Settecento. Possiamo immaginare che le sculture tardogotiche continuassero per secoli a esercitare un fascino per committenti e maestri.
Foglie, mostri, colori
Le allegorie bizzarre e mostruose che si dipanano nelle cappelle della chiesa di Santa Maria delle Scale veicolano significati immediati: il peccato, l’eresia, gli inferi e i dannati e rientrano nel più vasto repertorio del tempo, dove raffigurazioni naturalistiche (fogliami, animali) si affiancano a esseri mostruosi. Le cappelle sono poi caratterizzate da una vivace policromia, da colori (rosso, blu, nero) che delineano superfici geometriche o raffigurazioni realistiche. Si tratta di una pratica che comportava la collaborazione tra artigiani con competenze diverse e che, nella maggior parte dei casi isolani, non è sopravvissuta.
Foglie, mostri, colori
L’uso del colore nelle superfici dell’architettura tardogotica rimane ancora un tema poco esplorato, da questo punto di vista, le cappelle di Ragusa costituiscono un esempio straordinario.
La Dormitio Virginis
Tra le cappelle della chiesa di Santa Maria delle Scale ne compare una di gusto diverso, con un fondale a bassorilievo rappresentante la Dormitio Virginis. Si tratta di un paliotto in terracotta, datato 1538, forse commissionato a Caltagirone, e la cui acquisizione e collocazione comportò la parziale demolizione di una cappella gotica, la definizione di un nuovo arco a tutto sesto che la inquadrava e di una copertura a crociera moderna, cioè senza costoloni. Si trattava di uno dei primi segnali del rinascimento negli Iblei.
La Dormitio Virginis
Quando la documentazione archivistica si fa più consistente, compaiono i nomi dei primi maestri coinvolti anche nella costruzione di volte (dammusi) in pietra da taglio. Nel primo Cinquecento, tra tutte, sembra emergere la bottega dei maestri Odierna che potrebbe essere agevolmente essere stata coinvolta nella cappella della Dormitio Virginis.
La chiesa di San Giorgio Vecchio
Nell’area più orientale di Ragusa Ibla sorgeva la chiesa madre dedicata a San Giorgio. La scelta dei nuovi conti di Modica, i Cabrera, di eleggere la chiesa di Ragusa come luogo di loro sepoltura dovette implicarne anche la ricostruzione. All’impresa dovettero partecipare, almeno inizialmente, maestri provenienti dal Levante iberico. Dell’edificio quattrocentesco sopravvive solo il portale principale carenato. La sua conformazione e decorazione rimanda a modelli utilizzati in precedenza a Barcellona.
La chiesa di San Giorgio Vecchio
Non tutti i portali tardogotici sono catalogabili come “catalani”. Una vasta serie (Modica Santa Maria di Gesù, Scicli Santa Maria della Croce, Vizzini San Gregorio) presenta, per esempio, caratteri che affondano le loro radici nel mondo castigliano. Le matrici del gotico locale sono iberiche ma non univoche.
La cona
Sul fondale della chiesa di San Giorgio si collocava un’opera grandiosa: un’altare con diciotto statue di santi, realizzato a partire dal 1573 da Antonino Gagini. Dell’opera sopravvivono ancora alcuni resti custoditi nella sagrestia e nel museo del duomo che, congiuntamente alla descrizione contenuta in un anonimo manoscritto seicentesco, permettono di fare una ricostruzione del suo assetto originario. All’interno di una cornice architettonica classista, articolata in un doppio registro di nove tabernacoli disposti all’interno dell’abside poligonale quattrocentesca, la cona ospitava nella nicchia centrale il patrono della città San Giorgio, che, in abiti contemporanei, guidava una parata di santi guerrieri.
La cona
La “cona”, costruita nel 1573, all’indomani di una devastante incursione turca che aveva interessato la costa, costituiva la pronta risposta della comunità all’offensiva pagana. Alla sua costruzione contribuì l’intera città: fu infatti finanziata con i proventi di una gabella civica.