La stazione botanica del Ciane è oggi certamente la più estesa colonia di Cyperuspapyrus in tutta Europa di grande interesse naturalistico e storico. Va ricordato, in proposito, che nel 1970 il Consiglio d’Europa ha incluso i papiri del Ciane nell’elenco dei biotopi di grande interesse naturalistico e meritevoli della massima tutela. Oggi sappiamo che il papiro del Ciane è un relitto glaciale e nel dialetto siciliano veniva chiamato “parrucca” o “pilucca” per l’eleganza della pianta e, in passato, veniva usato nelle processioni in onore di Santa Lucia. Il percorso non presenta eccessive difficoltà.
La leggenda della Pillirina
Enzo Maiorca amava raccontarla: una giovane e affascinante fanciulla, attratta dall’infinita bellezza del mare, un giorno, vedendo un pescatore tirare su le sue reti, se ne innamorò. Ma il loro amore era contrastato dai genitori di lei che avrebbero preferito un uomo più facoltoso. I due si davano appuntamento davanti ad una grotta marina tutte le sere. Ma una di queste, il ragazzo non si fece trovare all’appuntamento e la ragazza, credendolo morto, si uccise gettandosi in mare ed è proprio davanti a quella grotta che, al chiaro di luna, i due amanti si incontrano ancora.
La leggenda di Anapo e Ciane
Ovidio narra che Plutone, rapita Proserpina, passò per le campagne di Siracusa sul cocchio per dirigersi nel suo regno. Ciane, riconosciuta la dea, tentò in tutti i modi di impedire il rapimento ma Plutone, per nulla intimorito, trasformò Ciane in fiume. Anapo, innamorato della sua Ciane si fece trasformare a sua volta in un fiume per incontrare la sua amata, entrambi infatti sfociano come in un abbraccio nel Porto Grande di Siracusa. Una variante della leggenda narra che Ciane, sconfortata dal ratto perpetrato da Plutone, pianse così tanto da annegare nelle sue lacrime e per questo le acque del Ciane divennero cerulee.
Santa Lucia a Siracusa
Secondo una Passio di origine greca, Lucia, nobile fanciulla siracusana, si recò in pellegrinaggio a Catania nel giorno dedicato alla Vergine Martire catanese, Sant’Agata, per chiedere un’intercessione per la madre, gravemente malata. Mentre pregava presso il sepolcro della Santa, Lucia si addormentò ed ebbe una visione di Sant’Agata che la chiamava “sorella vergine di Cristo”. Le disse che la madre sarebbe guarita perché lei aveva dimostrato una fede tanto profonda quanto gradita a Dio. Attualmente il corpo di Santa Lucia è sepolto a Venezia nella chiesa parrocchiale dedicata ai Santi Geremia e Lucia. I solenni festeggiamenti iniziavano la vigilia del 13 dicembre, era infatti usanza accendere i fuochi per esorcizzare il progressivo e inevitabile scemare della luce ed inoltre preparare dei pani votivi a forma di occhi che le famiglie appendevano al capezzale.
Le piante di Santa Lucia
Santa Lucia ‘na cammira stava
Orut agghiava e argentu cusia
Passa la Matri Vergini Maria
“Chi hai Lucia ca cianci e lacrimi?”
Chi agghiaaviri duci Matri mia
Passau u purpu e mi trasiu ‘nta l’occhiu
Nun mi lassa né virriri né taliari”.
“Zitta Lucia, nun lacrimari
Scinni no ma uortu e scippa pampini
Di bibbina, finuocciu e ruta
Cu li to manu li schiantasti
Che ta peri li scarpisasti
Si iddu è sancu squagghia , s iiddu è purpu a mari va!”
Santa Lucia dentro la camera stava
Oro tagliava e argento cuciva
Passa la Madre Vergine Maria
Le chiede: “Che hai Lucia che piangi?”
Lucia risponde: “Cosa debbo avere dolce Madre mia?”
“Passò un polpo e mi entrò dentro l’occhio
Non mi lascia guardare nulla”.
“Zitta Lucia, non lacrimare, scendi nel mio orto
Raccogli verbena, finocchio e ruta, con le tue mani
Li piantasti
Con i tuoi piedi li calpestasti
Se è sangue che hai nell’occhio, si sciolga
Se è polpo che ritorni in mare”.
La lavorazione del gelsomino a Siracusa
Secondo una credenza araba, il Paradiso è profumato di gelsomino poiché questo fiore simboleggia l’amore divino. Una leggenda narra che un giorno gli dei si stavano preparando per una festa per celebrare il sommo Giove. Tre stelline, non contente dei loro abiti, si lagnavano continuamente e il re degli dei sentendole lamentare, strappò le loro vesti e le scaraventò sulla terra. La madre implorò pietà e Giove impietosito le trasformò in gelsomino. A pochi chilometri da Siracusa si trova una contrada dal nome “Gelsomineto”, toponimo che ci ricorda la produzione del gelsomino la cui pianta era raccolta dalle donne che lavoravano durante la notte per poi inviarlo in Francia, per la preparazione dei profumi. Le donne iblee, a maggio, usavano raccogliere il gelsomino e farne “picate” (pomate) per le sue proprietà emollienti. Inoltre preparavano il dolce al gelsomino considerato una vera prelibatezza.