Per la sua posizione privilegiata di fronte alla chiesa di San Nicolò e nel rispetto dell’asse che quest’ultima instaura nel disegno della città, il luogo dove edificare il palazzo comunale era presumibilmente stato deciso sin dal primo tracciamento urbano. La storia della fabbrica comincia comunque solo nei primi anni Quaranta del Settecento, a seguito di vicende e scelte ancora poco note. Il palazzo, posto su un lato della piazza, presentava inizialmente un unico e dilatato piano loggiato, caratterizzato da angoli concavi e da una convessità centrale, mentre la parte retrostante, dove il declivio rendeva più alta la struttura, veniva configurato secondo una elegante geometria ad esedra.
La posizione nella piazza centrale
Come nella città abbandonata, la chiesa madre e il palazzo comunale insistevano nella medesima piazza. Il ricorrere di questi parallelismi conferma l’ipotesi di un progetto complessivo di posizionamento delle istituzioni principali già nella prima fase post terremoto.
Un possibile progetto francese
Secondo Vincenzo Arezzo Prado, che scrive alla metà del XIX secolo, il progetto della Casa Comunale di Noto venne elaborato a Montpellier e portato dal barone Giacomo Nicolaci, che si era recato nel sud della Francia per curare la sua malferma salute. L’ipotesi è stata ritenuta plausibile dagli storici, sia per l’organizzazione distributiva dell’interno che per la conformazione dell’edificio con rotonda centrale convessa. Questi medesimi caratteri sono infatti rintracciabili in numerosi châteaux francesi del tempo e sono vicini a quanto realizzato nella residenza de la Mosson da Jean Giral, più tardi architetto dell’Ospedale di Montpellier.
Un possibile progetto francese
L’internazionalismo è una delle molte chiavi per decifrare l’architettura di Noto. Non solo quindi un percorso che trae linfa dalle tradizioni costruttive locali, ma un aggiornamento continuo sui temi più congeniali per i committenti e per il mondo della costruzione.
Le vicende della costruzione
I primi dati documentari indicano in Vincenzo Sinatra il responsabile della costruzione avviata nel quinto decennio del XVIII secolo. Nella sua qualità di capomastro del Senato, Sinatra guidava il cantiere ed eseguiva i disegni di dettaglio necessari per la sua buona conduzione. Il ruolo di Gagliardi, in quel momento poco presente a Noto perché coinvolto dal vescovo di Siracusa in numerosi progetti per la diocesi non può essere comunque dimenticato. Gagliardi, in quanto architetto della città, dovette fornire i suoi pareri e concorrere alla definizione dell’edificio più importante e rappresentativo di Noto.
Le vicende della costruzione
A giudicare dagli esiti, ma anche dalle sue dirette dichiarazioni, Vincenzo Sinatra possedeva solide decisive competenze costruttive, ma probabilmente era meno dotato nel disegno. Non è forse un caso che nel 1745 Sinatra sposerà la nipote dell’architetto Gagliardi, suggellando un solido rapporto di stima e di alleanza professionale.
L’esaltazione della tecnica dell’intaglio lapideo
Oltre alla diversificazione della conformazione delle stanze e alla loro decorazione (aspetti che rimandano ancora alla cultura architettonica francese), il palazzo presenta un tour de force di sperimentazioni geometriche e tecniche, con archi e volte in curva, e relativi complessi tagli dei conci. Sappiamo che Sinatra e Gagliardi possedevano una buona conoscenza dell’arte dell’intaglio della pietra (la scienza nota come “stereotomia”) e il palazzo comunale si prestava a esibire una sorta di campionario delle abilità costruttive del tempo.
L’esaltazione della tecnica dell’intaglio lapideo
A Noto, come in altri casi dell’età barocca (si pensi, per esempio e per restare nell’ambito geografico di provenienza del progetto, al municipio di Arles) - l’architettura civica si orientava a prendere una decisa posizione negli annosi dibattiti tra fautori della superiorità dei moderni sugli antichi.
Modernità contro antico: quale identità?
Alla fine del XIX secolo, si deve al letterato Giuseppe Cassone la riscoperta di Ducezio, mitico condottiero siculo nonché fondatore di Noto, proprio mentre il fratello architetto e ingegnere Francesco Cassone progettava la sopraelevazione del palazzo Comunale. All’interno di questa temperie si innesta il nuovo nome da dare al palazzo, in ossequio alle origini della storia cittadina. Nella costruzione settecentesca tuttavia era emersa una esigenza opposta, espressa nell’ardito esercizio costruttivo, teso ad affermare il primato della modernità (essenziale in una città nuova e senza storia) rispetto alla retorica antiquaria.
Modernità contro antico: quale identità?
Nell’Ottocento con la sempre più diffusa passione per l’archeologia all’interno della decorazione del palazzo comunale si era trovato spazio per un programma iconografico che includesse la rappresentazione di Ducezio, un primo passo verso la riappropriazione collettiva dell’eroe fondatore.